Il concetto di “generazioni” è sopravvalutato, infatti siamo esseri umani non medievali investiture per lo svolgimento di ruoli all’interno di un sistema complesso. Studenti, neolaureati, giovani disoccupati, lavoratori precari ed espatriati: alcune delle categorie utilizzate per trattare l’argomento. Chi tramanda i pilastri per questi giochi di ruolo ? Quale la posta in gioco per questo divertissement ?
Il recente linguaggio utilizza sostantivi para-anglofoni per classificare i nascituri sottoposti a diversi pop-sonniferi.
Per prima cosa stabiliamo la scala del discorso (citaz altro post), il livello dal quale osserveremo i fenomeni come osservatori disinteressati. Consideriamo l’Italia, mettiamo in fila alcuni concetti semplici e cerchiamo di estrapolare una generalizzazione.
Si tratta di un tentativo perché siamo onnivori di micro-totem virali (meme) e non capiamo molto di cosa accade quando li digeriamo. Questa alimentazione non è universale e nemmeno democratica essendo riservata alle sole “classi” dominanti. Per questo si può affermare che tutt’altro che disinteressato e, anzi, radicato in una volontà di potere in ambito sociale. Il nostro gusto personale non riflette semplicemente i nostri usi e costumi. Ogni pratica di vita attua un processo di inclusione-esclusione rispetto agli altri ma in fine dei conti perpetua sempre ciò che è permesso dalla classe dominante.
Poiché il gustare la vita viene confinato dall’alto le connessioni tra individui che si vengono a formare per mezzo di gusti ed atteggiamenti sono di fatto caotiche. Il sentire comune pressato dai bisogni non sarà mai disinteressato, risulterà niente più che un invisibile artefatto mentale. Quando i bisogni cambiano quell’artefatto non svanisce ed il nostro gusto perde il senso dell’orientamento sociale.
Per queste ragioni è mistificatorio intavolare discorsi generazionali. Categorie concettuali limitate e precostituite creano interferenze nella presa di coscienza dei propri bisogni personali.
Nel tempo in cui scrivo, in Italia, l’eredità che i più anziani lasciano ai giovani deriva da strutture cristallizate dopo la seconda guerra mondiale. Parliamo di modelli che sono stati efficaci nel garantire diritti e chances di emancipazioni pressochè a tutta la popolazione. Sul terminare del nuovo millennio, sulla scia dell’evoluzione dei decenni passati, le esigenze hanno iniziato a mutare e pochi se ne sono realmente resi conto. D’altra parte i modelli erano stati stabiliti da una sorta di establishment. Pertanto le buone intenzioni non sono state sufficienti a prolungarne l’efficacia oltre il breve periodo.
Da allora fino ad oggi i modelli sociali utilizzati sono rimasti sempre uguali fino a diventare obsoleti. In particolare i parametri delle politiche liberiste Keynesiane sono stati utilizzati tutti. Una coperta troppo corta per un letto troppo grande lascia sempre qualche punto scoperto, indipendentemente dalla direzione in cui la stendiamo.
Ecco quindi che i giovani diventano cifre, lettere dell’alfabeto. Ne rimangono pochi, curiosi, che con distacco dal gusto comune escono dalla scatola preconfezionata ma vengono inconsciamente influenzati da picchi di autoreferenzialità ingenua.
Se parliamo di pensioni il discorso assume quasi il sapore di una trappola. E tanto di cappello agli anziani burocrati, ma chi l’ha detto che i più giovani debbano ingerire e digerire queste istituzioni oscillatorie.
Se ancora in contatto con i bisogni, se la macchina morbida non risulta più compressa dalle necessità sociali, ogni soluzione alternativa pacifica è pertinente. Il futuro è nelle mani dei giovani, sempre che siano pronti a proporre nuove visioni.
Il pane occorre guadagnarlo. Tuttavia l’eredità lasciataci dopo circa 30 anni di sprechi , furti e condoni è servita solo a tutelare privilegi barocchi nelle mani di alcune classi lavorative. Come mai lavoratori come artigiani, ristoratori, meccanici o, comunque più in generale le piccole partite iva sembrano essere perennemente dissanguate, mentre in giro rimangono questi colletti bianchi “esentasse” ? Questo è accaduto prima del Covid che, invece, ha spinto un autorevole governo italiano nel tentativo di appianare queste disuguaglianze.
Intanto però la cartamoneta sembra valere meno e mi domando allora se oggi valga di più un naturale slancio collettivo che rimanipoli le tradizioni. Infondo è il coraggio a mantenerci giovani, quello che serve per lasciarsi trasportare fuori dalla tela.