< Bang ! Bang ! Bang ! > Tre veloci colpi di pistola interruppero l’altisonante vociare all’interno del locale. Avevano ucciso Billy del Kid e nessuno più fiatava. Un regolamento di conti, era chiaro, ma ci volle qualche minuto di silenzio affinchè l’intera sala si capacitasse del fatto che avevano fatto fuori Bill. Il silenzio fu interrotto dai passi della cameriera che si rifugiò in cucina chiudendo la porta alle sue spalle.
<Quella tartaruga è stata donata alla persona sbagliata – disse qualcuno – quei banditi l’hanno reclamata e Bill si è rifiutato di dargliela>. <E’ proprio così – irruppe il Coltivatore in persona – sia chiaro, però, che la storia completa non la conoscete. Accontentatevi quindi di rimanere nelle vostre opinioni da piscioni di birra!>. Si voltò verso il cadavere, piegato sul tavolo, lo fissò e uscì di scena senza aggiungere altro.
La tempesta faceva oscillare i pali della luce e la stessa corrente elettrica arrivava a scatti, ogni tanto la tensione diminuiva e la luce si affievoliva. La stanza alternava momenti di oscurità ad altri di luce giallastra ma per il Coltivatore questo non cambiava molto. Steso sul letto fissava il soffitto dove la sua mente proiettava quell’ultima scena dell’amico esangue accasciato sul tavolino. Un lampo, un tuono dal suono corto ed un altro ancora dal suono più lungo e denso. I vetri della vetrinetta dello studio vibrarono, alcune conchiglie cozzarono l’una contro l’altra. Lui non si muoveva, nulla poteva scuoterlo in quel momento, la tempesta era anche dentro era come una catartica stasi meditativa alla quale il Coltivatore non opponeva resistenza alcuna. Aveva imparato perfettamente dai suoi amici molluschi che quando un granello estraneo si infiltra all’interno, per quanto fastidioso possa risultare, rimanendo tranquilli il corpo stesso lo ricopre di madreperla sino a renderlo un oggetto brillante quanto prezioso. Così i suoi pensieri dei bei momenti andati avrebbero avvolto l’immagine dell’amico morto che portava dentro. Chissà che rendendolo un bel ricordo, una perla da portare con se, in una seconda vita non se la sarebbe trovata in tasca. Chissà se sarebbe stata utile per riconoscersi tra gli sconosciuti quando sarebbero tornati a rivivere tra i terreni. Chiaramente era in attesa che la tempesta passasse, tanto fuori quanto dentro piovevano pensieri che aspettavano solo di scrosciare per terra e scorrere lungo i pendii. Quella sorta di attesa fu interrotta però da due suoni sordi e violenti, avrebbe giurato di averli già sentiti un attimo prima… <Ma questa è la porta – pensò – forse stanno bussando all’ingresso>. Allora con molta calma e sempre dubbioso di non aver individuato bene il suono, mascherato da quelli burrascosi all’esterno, si alzò ed aprì la porta. Era il Cacciatore di fulmini, inzuppato dalla testa ai piedi, con il suo solito sacco appoggiato su una spalla, scarponi, impermeabile e sciarpa. Chiaramente senza alcun ombrello, con quel suo immancabile timbro, elettrico ma fermo, come un lampo che sta per cascare sulla terra ma non si sa mai quando lo faccia sul serio. Per quanto pioveva, lì fuori, sarebbe stata più utile una muta da sub.