Post_urbanesimo

Il generalizzato malessere diffuso dalla pandemia sembra stia schiacciando come vetuste velleità le nostre tecniche di sopravvivenza sul pianeta terra. Attualmente può dirsi che quella umana sia definibile oggi come popolazione specialistica, appartenente cioè a quel tipo capace di sopravvivere esclusivamente in un tipo di ambiente: quello urbano o periurbano. La comparsa di un nuovo ceppo di virus, appartenente alla famiglia dei c.d. ‘Corona Virus’ appare perciò un ricatto morale piuttosto che un rischio. Dalle competenze umane diffuse l’unica cura di questa malattia risiede nei vaccini, ma delle cause sembra non abbiamo tempo di parlare. Infine, stretti dalle pressioni economiche, abbiamo il cervello occupato a pensare ai bisogni fisiologici primari nostri ed eventualmente familiari. Questo è un ricatto alla società costituita fino ad ora, quella che lavora per creare soldi che a loro volta serviranno per vivere. Questo è un ricatto alla popolazione ultra urbanizzata che non conosce altra via di sopravvivenza che quella del supermercato. Il nodo però non è tanto nella possibilità di scambiarci prodotti mediante una moneta sebbene proprio questo modello abbia troppe esternalità negative a livello planetario. Il blocco infatti è l’assenza di concrete possibilità alternative. Piccole comunità territoriali dove trovare simultaneamente ristoro fisico e psichico cui tutti coloro che ‘in città proprio non ce la fanno’ possono rivolgersi. Oltretutto il fattore che mortifica maggiormente questo genere di soluzioni non è solo quello economico, immediatamente visibile. Ci sono infatti differenze socio culturali croniche alle quali non diamo un consistente peso in misura in cui ci limitano. Queste ci portano unicamente sulla strada della violenza e delle paure, percorso assolutamente demolitore di ogni iniziativa che parta dal basso, cioè dalle relazioni uomini legati alla cultura del territorio nel quale vivono. Riconoscerle è un primo passo, tuttavia oggi non risultano superate e, peggio, sono spesso mascherate. La presenza del virus ci impone di chiudere le attività che procurano da vivere a popolazioni intere e sebbene le scienza medica ci dia una prospettiva essa non risulta essere di lungo periodo, o meglio, ha intenti curativi ma non preventivi. Abbiamo infatti capito che sono stati i vecchi ‘paradigmi sociali’ ad influenzare la stessa comparsa della pandemia, ed è nella coscienza di molti che perpetuarli può risultare una via rischiosa e persino autolesionista. Nella sfera dei rapporti umani, tra individui dotati di pensiero all’incirca autonomo, non ci resta che tracciare un percorso per uscire da questo ricatto. Una via d’uscita che ci permetta di sopravvivere in questo pianeta che sembra voler fuggire da se stesso. Lasciando alle nostre spalle tutto che non ci serve più, potremo ricorrere ad una nuova Ecologia della mente, per usare le parole che avevano illuminato Gregory Bateson. Che il fine unico sia quello di condurre la migliore delle società future possibili elevandole nella pace e rispetto reciproco tra gli esseri umani.