Era di plastica gialla scolorita, rigida e pesante da sollevare sui ciottoli della baia. Non ero mai salito su una canoa ma non sembrava difficile. Due sedute dalle quali pagaiare e due lunghi remi a doppia pala richiedevano una certa coordinazione per farla scivolare nel mare. Avrò avuto circa cinque o sei anni.
La baia si apriva ai piedi di un breve pendio immerso negli alberi, attraverso una ripida scalinata si accedeva alla spiaggia di ciottoli. Non c’era molto tranne qualche ombrellone libero, due sedie sdraio ed un boschetto sulla sinistra dove una famiglia di tedeschi amava piazzarsi per stare al fresco. Ricordo dei bambini che giocavano nudi sul bagnasciuga, le cicale e lo yogurt che la mattina riempivo di miele per far colazione. Li acquistavamo entrambi dalla signora greca che ci affittava l’appartamento, viveva in un’altra abitazione a pochi passi da noi ma la si vedeva solo al mattino prima che uscisse per sbrigare le sue faccende.
Papà era a prua ed io seguivo la sua remata, con le spalle più piccole facevo fatica a pagaiare con forza ed ogni tanto perdevo il ritmo ma in pochi minuti eravamo già lontani da riva. Non c’era un filo di vento, l’acqua era fredda e quel sole delle prime giornate di luglio era piacevole. Decidemmo di uscire dalla baia ed in prossimità dello scoglio all’estremità destra si iniziava a sentire il verso di un uccello, non lo si vedeva da nessuna parte, si percepiva però la direzione del suono. Allora proseguendo senza allontanarci dalla scogliera chiara iniziammo a cercare.
Non si vedeva nulla, sembrava sparito, ogni tanto però il verso si sentiva nuovamente e allora non ci davamo per vinti. Ad un certo punto però quasi mimetizzato nel grigio delle rocce vediamo un animale altrettanto scuro, non era un gabbiamo sebbene vi somigliasse parecchio. Occorreva uscire dalla baia, dove, di fronte agli scogli c’era solo mare aperto e la sua profonda risacca sulla costa. Scoprì così la meraviglia, il fascino della scoperta; ero stato iniziato al mare e presentato al più regale dei suoi personaggi: quello che collega cielo, terra ed acqua semplicemente con la sua imperturbabile presenza. Mi sembrava molto grande, con il becco lungo ed il piumaggio liscio a renderlo ancora più maestoso; se ne stava sullo scoglio, immobile. Con l’accortezza di non spaventarlo provammo ad avvicinarci dopo averlo osservato per un po’, fu anche l’occasione per riposarci perchè eravamo lontani da riva ed in fin dei conti era papà a pagaiare per la maggiore. Ci trovavamo a pochi metri dalla roccia quando aprì le ali verso di noi, verso il largo, e riuscii a vedere la sua ampia apertura alare. Anche papà era sbalordito e lo ammirammo per qualche minuto, poi si decise si rientrare in baia, non volevamo farlo volare ed era il momento di tornare a casa.
Se la memoria non mi inganna il giorno seguente, con la stessa canoa, tornammo nello stesso punto e l’animale era sempre lì. Imparai allora che doveva essere quello il suo posto: alle spalle del mondo ad osservare l’infinita marea, lì dove gli uomini non possono passeggiare e si interrompe il limite tra memoria e realtà.
Non ricordo molto altro, né del ritorno sulla terra ferma o tanto meno di quanto tempo impiegammo, solo poche immagini ed emozioni di quella mattina con mio padre, la prima di altre avventure in mare aperto.